All’amico Ferruccio

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Non ci sei più ma, come si dice fra gli alpini, sei solo “andato avanti”. Io sono frastornato, mi manca un punto di riferimento. Sì, perché tu sei stato una parte importante della mia vita.

Mi hai salutato due giorni prima di morire, con un sorriso e una stretta di mano. Sorriso e stretta di mano che, nonostante la sofferenza, erano identici a tanti che ci siamo scambiati nel corso della vita, ogni volta che abbiamo raggiunto insieme una vetta, un obiettivo comune.

E voglio ricordare insieme ai tuoi sorrisi e alle strette di mano la tua mitica boraccia con la quale mi hai sempre offerto, e con il piacere di offrire, un buon sorso di clinton, risparmiato per questo scopo, a fatica, durante la salita alla vetta. In particolare la mia mente si sofferma su di un paio di episodi relativi a questa boraccia.

Il primo nella primavera del 1977 quando, confidando nelle nostre capacità tecniche nonostante l’ora tarda delle 16:00, dalla diga di Place Moulin partiamo con un tempo da lupi per il rifugio Aosta con obiettivo Dent D’Herens per il giorno successivo. Che importa se siamo nel bel mezzo di una perturbazione? Il tuo commento è: – La relazione dice: “Rifugio Aosta – aperto tutto l’anno -” evidentemente è un Grand- Hotel, vuoi non trovarlo? Infatti gira e rigira su morena e ghiacciaio sotto un’ imponente nevicata alle ore 22:00 ci vediamo costretti al rientro. Le pile ormai forniscono solo un’ombra di luce; la prima discesa, con tecnica a raspa, produce la rottura di entrambi i tuoi bastoncini – nuovi di zecca e decantati prototipi di “bastoncini allungabili”. Ti vedo ancora precedermi sciando con una piletta in mano, senza bastoncini e percorrere una morena di sassi mascherata da pochi cm di neve fresca: i tuoi sci mi illuminano il percorso con miriade di scintille prodotte dallo sfrigolio delle lame sui sassi.  Il meglio però arriva quando finiamo nella conca di Prarayer – allora senza rifugio – verso l’una del mattino, in un bivacco di fortuna: una baita semi diroccata dove al posto di parte del tetto si possono ammirare le stelle tra le nubi in dissoluzione. Ed ecco che dal tuo zaino esce la famosa boraccia di clinton, un fornelletto con pentolino, 2 arance. Il miglior vin brulé che io abbia mai gustato nella mia vita!

Il secondo episodio riguarda la salita della cresta sud dell’Aiguille Noire De Peuterey nell’agosto del 1979. In mattinata dalla Val Veni, preparati gli zaini, saliamo tranquilli verso l’attacco della Via. Il programma prevede di scalare nella giornata le prime 2 torri, fermarci a bivaccare in cima alla Punta Welsenbach, e, il giorno successivo,  proseguire l’ascensione alla vetta e la discesa al rifugio Borelli. Durante la sosta prima dell’attacco della via, con la sete che già si faceva sentire  e pregustando il clinton della sera, ecco la brutta notizia: la mitica boraccia è rimasta in automobile. Ricordo ancora il tono preoccupato con cui mi hai comunicato la notizia. In breve: salita,  bivacco,  salita del secondo giorno e  discesa fatte con una sola boraccia di acqua. Quanta sete! E anche la seconda sera nell’allora bivacco Borelli incustodito ci siamo dovuti accontentare d’ acqua ottenuta da fusione di neve. Finalmente in tarda mattinata del terzo giorno, raggiunta l’automobile, ci aspettava la boraccia piena di prezioso clinton! La borraccia è stata prosciugata con poche cannate equamente suddivise fra noi. Quanto abbiamo gustato quel fragolino e goduto in tante occasioni di vera amicizia.

Grazie Ferruccio per i tuoi sorrisi, per la tua pacata determinazione nella fatica e per il tuo distacco fiducioso dalle “cose” della vita.

Il tuo amico e compagno di tante ascensioni.

Giacobbe.

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2 Risposte to “All’amico Ferruccio”

  1. Lorenzo Gorla Says:

    Caro Giacobbe, questi tuoi due racconti mi riportano al mio primo corso di Sci alpinismo: Aprica, prova di discesa, Febbraio 1980.
    Ti ricordi chi sono stati i miei primi, primissimi istruttori ? Io si: Ferruccio Sala e Giacobbe Barindelli! Sembravate inseparabili! Quanta fatica starvi dietro..mi sembrava impossibile che si potesse sciare con quella velocità e quella destrezza in una pineta così fitta con tutta quella neve fresca.
    Ferruccio me lo ricordo forte, imponente, con uno zaino enorme sulle spalle, la sciata leggera, agile, rotonda.
    Ferruccio sciava davvero bene, ed in salita era fortissimo.
    Anche io ho un aneddoto a base di Clinto.
    Mi ricordo una gita del corso: Capanna Saoseo, Ferruccio era il mio istruttore, io ero dietro di lui … arrancavo e da un po’ stavo osservando il suo vecchio zaino, sembrava più pesante e grosso del solito.
    Ne usciva l’inconfondibile aroma di Clinto, il solito Clinto del Ferruccio.
    All’arrivo in rifugio, da quell’enorme zaino Ferruccio ha estratto una tanica in plastica da 5 litri piena rasa del mitico nettare..era la razione per la serata: Clinto per rendere il rifugio più accogliente, le canzoni più belle e la fatica della giornata più piacevole.
    Ciao Ferruccio.
    Il tuo allievo: Lorenzo Gorla

  2. Umberto Cozzi Says:

    Apprendo questa sera di Ferruccio.
    Anch’io, come Lorenzo, ho cominciato lo Sci alpinismo con la quella prova di discesa all’Aprica, nel Febbraio 1980.
    Non ho particolari aneddoti da raccontare, ma a tanti anni di distanza conservo di Ferruccio un bel ricordo, fortissimo in montagna, di poche ma saggie parole, sempre pronto ad offrire il “il suo clinto”.

    Ciao Ferruccio, il tuo allievo Umberto Cozzi.

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